Contatto.
Questo è ciò che facciamo ogni giorno. Siamo in contatto con persone quotidianamente. Un contatto fatto di cuori, pollici verso l’alto, messaggi, notifiche. Sappiamo ogni giorno che cosa fanno amici o colleghi, quelli più stretti, quelli con cui siamo in contatto di più. Lo sappiamo senza che ce lo abbiano detto davvero, manteniamo il rapporto sulla superficie, senza approfondire un po’ di più, senza ascoltare veramente. A volte giudichiamo perfino, ci facciamo idee senza conoscere le vere storie dietro a quegli aggiornamenti di status.
Opinioni nate da un paio di pixel.
Ci scriviamo nei momenti di pausa, quando si può. Ci si parla tra un ritaglio di tempo e l’altro. Si fa altro sempre, si è sempre con la testa da un’altra parte, costantemente multitasking. Tutti, troppo.
Lavoriamo online, a volte per clienti lontani, magari all’estero. Pensiamo alle parole chiave, al posizionamento sui motori di ricerca. Riceviamo email mentre proviamo a concentrarci, perdiamo tempo per ritrovare il focus.
Corriamo. Andiamo avanti quando la testa è rimasta un pelino indietro, forse.
Ci isoliamo con le cuffie per lasciar defluire i pensieri, ritroviamo la concentrazione, ritroviamo il noi.
Lavoriamo in attesa di un’approvazione, andiamo online, condividiamo. Quella voglia di scrivere e quel piacere di essere letti si trasformano in business, soprattutto per altri.
E a noi resta il vuoto.
Un vuoto che non sa di connessioni vere, non sa di ascolto vero. Sa solo di esserci e basta, esserci perchè è così che funziona. Leggiamo e ascoltiamo altri che condividono online il nulla più assoluto, che cercano apprezzamenti, purchè se ne parli.
Avere di conseguenza voglia di tornare a scrivere davvero, scrivere per noi, scrivere perchè ne sentiamo l’urgenza. Parlare di cose che non rispondono alle ricerche più fatte su Google, ma di cose che riguardano noi, le nostre emozioni, ciò che sentiamo dentro.
Non cambierò mai idea su una cosa: qualità e quantità sono e saranno due cose sempre ben distinte. La qualità di un contenuto sarà sempre più importante della quantità delle persone che la leggeranno, perchè mi importa arrivare. Arrivare a uno, a due, a dieci o a cento persone, ma stravolgerle dentro, scombussolarle come se le avessi davanti agli occhi. Far loro traballare il cuore. Mi interessa connettermi con loro non tramite un wifi, ma tramite le vibrazioni che le mie mani sulla tastiera fanno arrivare al loro cuore. E questo non risponde alle logiche del business, lo so, ma a me va bene così.
Mi sbilancio: sto lavorando a un progetto tutto mio e parla proprio di questo. Contenuti che hanno un cuore. Perchè chi li scrive e chi li legge sarà sempre e solo una persona: una persona che per forza di cose ha sì una testa, ma ha soprattutto un cuore che batte e che ha voglia e bisogno di provare qualcosa, di sentire vibrazioni.
E se c’è una cosa che io faccio spontaneamente, senza rifletterci, è questa: metto il cuore al centro di tutto, sempre. In ogni cosa che faccio, che sento, che vedo. Poche cose ma buone, pochi abbracci ma sentiti, poche connessioni ma quelle giuste. Di quelle che poi restano intrecci solidi, intrecci che non si sciolgono più.
Non sono mai stata una tipa troppo razionale, o per lo meno lo sono solo quando serve per necessità. Ho sempre sostenuto che il cuore abbia più ragione della ragione stessa. Chi vive con il cuore vive il doppio e sente il doppio di chi pensa solo con la testa.
Vivete con il cuore.
Usate la testa quando non potete fare altro, ma usate quel cuore oggi e non domani. Arrivate al cuore degli altri, metteteci quel qualcosa in più in ciò che fate. Rendetelo speciale, perfetto, unico. Non pensate ai numeri, non pensate alle connessioni o al consenso altrui. Pensate al qui ed ora, pensate ad esserci per voi. E quindi anche al non esserci, ma nei confronti degli altri. E lì si che si fa un magnifico viaggio. Di conoscenza, di amore, di cambiamento.
Fate come le bolle di sapone: fluttuate un po’.
E poi tornate.